Il
Fico, Ficus carica, è un albero da
frutto appartenente alla famiglia delle Moraceae, originario dell'Asia occidentale,
da cui sembra sia stato introdotto da tempi remotissimi nei paesi dell'area mediterranea.
Il nome Fico indica sia la pianta sia il frutto.
Sono molti gli aneddoti che confermano la conoscenza antichissima del Fico da
parte dell'uomo: nella Genesi si legge che Adamo ed Eva, dopo il peccato originale,
coprirono la loro nudità con foglie di Fico, e nella Bibbia questa pianta è nominata
molto spesso; si narra anche che Cleopatra si tolse la vita per mezzo di un aspide,
che le era stato portato in un cesto di fichi; si fa menzione delle piante di
Fico anche nell'Odissea, e inoltre il filosofo greco Teofrasto (371 a.C.) e il
medico e botanico greco Dioscoride (54 d.C., scrisse un trattato sulle piante
officinali che servì da modello per tutti gli erbari futuri), menzionano sia i
Fichi selvatici sia quelli coltivati; gli Ateniesi consacrarono questo prezioso
e dolcissimo frutto al dio Mercurio, mentre la leggenda narra che Romolo e Remo
furono allattati dalla lupa sotto un albero di fichi.
Il Botanico svizzero De Candolle trovava conferma di questa remota conoscenza
negli antichi libri degli Egizi e degli Ebrei, nei quali si fa menzione del Fico
sia come pianta selvatica sia coltivata per i suoi frutti, i quali erano chiamati
rispettivamente "teb" e "teenah"; i Greci chiamavano "erìneas" i Fichi selvatici,
mentre i Romani li chiamavano "caprificus" (= fico capro, cioè fecondatore, e
più avanti chiariremo il motivo di questo appellativo), nome che è giunto fino
ai nostri giorni. Oggi gli Arabi chiamano i Fichi "tin".
Il genere Ficus, che ha preso il nome dalla sua specie più rappresentativa, il
Fico, è costituito da numerose specie arboree o arbustive, talvolta quasi erbacee,
a volte anche rampicanti, tutte caratterizzate da una linfa lattiginosa, o latice,
generalmente caustica.
Nella flora spontanea, il Fico, che vegeta bene negli stessi areali in cui prosperano
la Vite e l'Olivo,
si presenta sotto forma di albero molto irregolare e tortuoso, dal tronco corto
e ramoso con la corteccia grigio-cinerina.
E' una pianta xeròfila, cioè molto resistente alla siccità (dal greco xeròs =
secco e filèin = amare), che riesce a svilupparsi anche in condizioni difficili,
ad esempio su muraglioni, ruderi, o in cima a torri diroccate; nella nostra Sardegna
non è raro veder prosperare una pianta di fichi in cima ad un Nuraghe, specie
se all'interno è ancora parzialmente interrato, a riprova che il Fico ha esigenze
veramente modeste e possiede un forte e profondo apparato radicale, che gli permette
di vivere anche su terreni rocciosi o salsi.
Per contro, teme l'eccessiva umidità, e i ristagni di acqua ne possono pregiudicare
la fruttificazione; non tollera il gelo eccessivo, tanto che la pianta può morire
se la temperatura scende al di sotto dei -10°, anche se possono poi spuntare nuovi
polloni alla base del vecchio tronco.
La
specie Ficus carica si distingue in due sottospecie: il Ficus carica sativa, cioè
il Fico domestico coltivato, che produce i frutti commestibili, e il Ficus carica
caprificus, o Caprifico, o Selvatico, che differisce morfologicamente dalla specie
coltivata principalmente nel frutto, che nel Selvatico è asciutto e stopposo,
non edule,
di colore verdastro o violetto.
Entrambe le piante secernono, al taglio di qualunque parte, un latice bianco molto
irritante, che potrebbe essere utilizzato per eliminare calli, duroni, verruche,
macchie della pelle, in virtù del suo contenuto in proteasi, enzimi che hanno
la proprietà di dissolvere la cheratina, ma in realtà questo utilizzo è sconsigliato,
perché questa pratica può provocare forti irritazioni e perfino ustioni, anche
gravi, specie se, dopo l'applicazione del latice, la pelle è esposta al sole,
per la presenza nella sua composizione di cumarine, sostanze fototossiche.
Il Ficus carica sativa appare generalmente come un albero di medie dimensioni,
con grandi foglie profondamente incise a 3 o 5 lobi, coriacee, scabre nella pagina
superiore, pubescenti per una peluria ispida nella pagina inferiore, che risulta
anche più chiara; produce frutti succosi e zuccherini, sempre commestibili, di
colorazione variabile secondo le numerose varietà, dal verde chiaro al rossiccio,
al nero.
Quello che comunemente è chiamato frutto, in realtà è una infruttescenza derivata
dalla particolare infiorescenza composta da un ricettacolo fiorale cavo e carnoso,
a forma di otre, globoso e piriforme, detto sicònio o falso frutto, al cui interno
sono racchiusi i piccolissimi fiori; i veri frutti sono gli acheni, cioè i piccoli
granellini marroncini che si trovano all'interno della polpa zuccherina dei falsi
frutti, e che comunemente sono chiamati semi.
Il sicònio è dotato di un foro apicale detto ostiòlo, che consente l'ingresso
di un insetto impollinatore specifico, la Blastòphaga psenes (insetto prònubo),
una vespa priva di pungiglione, piccolissima come un moscerino, che ha instaurato
col Fico una simbiosi
obbligata, detta specie-specifica. Le due specie, infatti, sono strettamente correlate,
poiché solo la Blastophaga psenes può fecondare il Fico, permettendogli di produrre
i semi che ne perpetueranno la specie, e solo la pianta del Fico a sua volta consente
all'insetto di vivere e riprodursi, in quanto esso alberga stabilmente nei fiori
femminili del Caprifico all'interno degli ovari, da cui solo la femmina esce,
mentre l'insetto maschio ha la sola funzione di fecondare le femmine, compito
che svolge senza mai uscire dal siconio e quindi senza mai vedere la luce del
sole, giacché muore subito dopo la fecondazione.
Le femmine di Blastophaga psenes, pur vivendo nel Caprifico (che in definitiva
si comporta come pianta maschile produttrice di polline, quindi fecondatrice,
e da ciò è derivato il nome), sciamando fuori dal siconio selvatico cariche di
polline e visitando anche i siconi delle piante coltivate, ne fecondano i fiori;
esse non riescono tuttavia a deporvi le uova, in quanto i piccoli fiori femminili
del fico commestibile hanno uno stilo molto allungato che impedisce l'ovodeposizione,
per cui non si formeranno mai larve dell'insetto impollinatore all'interno dei
frutti.
I vermetti che talvolta si trovano nei fichi molto maturi, sono larve di altri
insetti "parassiti", mentre l'insetto impollinatore è considerato "simbionte"
(dal greco syn e bios = vita insieme, che presuppone un vantaggio reciproco).
All'interno dei siconi del Caprifico, invece, le femmine di Blastophaga psenes
riescono a deporre le uova negli ovari dei fiori femminili, che si trasformano
in "galle", in cui si svilupperanno le larve che ne tramanderanno la specie.
In
natura, la riproduzione del Caprifico avviene spesso con la produzione di polloni
basali, o per propaggine tramite rami che, arrivando a toccare il suolo, radicano
e formano nuove piante.
Il Ficus carica sativa può essere riprodotto per seme, ma questo sistema nelle
colture è poco praticato poiché dai semi del Fico commestibile nasceranno sia
piante della stessa varietà, sia piante di Caprifico, mentre è frequente la riproduzione
per talea, margotta e innesto, che garantiscono di ottenere la stessa varietà
di partenza.
Le varietà, o cultivar, di Ficus carica sativa sono molto numerose, e fra queste
ve ne sono diverse, selezionate dall'uomo, che hanno la particolarità di essere
partenocàrpiche, cioè non hanno bisogno di essere fecondate per produrre ottimi
fichi; in questo caso gli acheni, pur essendo presenti, sono vuoti e sterili,
poiché in mancanza di fecondazione i semi non si possono formare.
Nei frutti fecondati dal polline dei Caprifichi, invece, gli acheni sono fertili:
contengono una minuscola noce, che può germogliare producendo una nuova pianta.
La fruttificazione del Fico avviene in tre distinti periodi: all'inizio dell'estate
si sviluppano i cosiddetti fichi Fioroni; alla fine dell'estate maturano i fichi
detti Forniti; infine, nei luoghi in cui l'estate è lunga e calda, all'inizio
dell'autunno può avvenire una ulteriore produzione di fichi tardivi, chiamati
Cimaruoli o Cratiri, che è però spesso incompleta e non apprezzabile.
Il Fico riveste grande interesse dal punto di vista alimentare, e, inoltre, i
falsi frutti (siconi), le foglie, e soprattutto le gemme dei giovani rami, sono
utilizzati per le interessanti proprietà officinali.
I fichi sono, infatti, consumati freschi come ottima frutta nutriente ed energetica,
ricca di calcio, ferro, potassio e per il contenuto zuccherino, del quale devono
ovviamente tener conto i diabetici e le persone in sovrappeso; con i fichi freschi
si confezionano anche ottime confetture.
I fichi hanno proprietà lassative, poiché sono ricchi di fibre e mucillagini,
delicate e non irritanti, adatte anche per bambini, anziani, e nel periodo della
gravidanza; l'azione lassativa è consigliata anche in presenza di emorroidi e
di stipsi
cronica, in quanto l'utilizzo prolungato non causa assuefazione.
E' molto apprezzata anche la produzione dei fichi essiccati, prodotti nei luoghi
a clima estivo caldo e secco, in Italia solitamente al sud e nelle isole; infatti,
nelle regioni più fresche e umide del nord, la loro essiccazione è problematica
poiché è facile il formarsi di muffe che possono produrre aflatossine, sostanze
altamente tossiche e notoriamente cancerogene. L'essiccazione in forni non dà
risultati altrettanto validi. Il decotto in acqua o latte dei fichi secchi ha
proprietà emollienti
pettorali,
utili per sedare la tosse, e lenitive per le affezioni del cavo orale.
I fichi secchi, dopo una lunga decozione, possono anche essere applicati su garza
come cataplasma caldo-umido coadiuvante della terapia farmacologica in caso di
ascessi, foruncoli, paterecci, per favorirne la maturazione e la risoluzione.
I fichi entrano anche nella composizione di succedanei del caffè, insieme all'Orzo
e alla Cicoria.
Il latice delle foglie e dei rametti anticamente era adoperato per cagliare il
latte nella produzione di formaggi artigianali per il consumo familiare; questo
formaggio, ottenuto senza uso di caglio animale, è adatto anche per i vegetariani.
Inoltre, come abbiamo già accennato, il latice potrebbe essere adoperato per eliminare
calli, duroni e verruche, ma con i rischi di cui si è detto, poiché esso è molto
irritante per la pelle.
Ricordiamo e sottolineiamo che l'uso improprio a scopo abbronzante dell'infuso
di foglie del Ficus carica può provocare gravi fenomeni di fotosensibilizzazione,
con lesioni della pelle e ustioni, anche gravi, per cui è assolutamente da evitare.
Le
gemme fresche del Ficus carica sono la parte di pianta più interessante dal punto
di vista fitoterapico. Contengono gli enzimi digestivi proteasi, lipasi e diastasi,
simili come valore digestivo a quelli pancreatici, oltre a vitamina A, vitamina
C (acido ascorbico), e cumarine, sostanze che, oltre ad avere un'azione foto-tossica,
sono antiproliferative cellulari; quest'ultima proprietà è sfruttata per preparati
medicinali utili contro la psoriasi,
la cui peculiarità è proprio una proliferazione cellulare accelerata e abnorme.
Con le gemme fresche dei rametti si produce un macerato glicerico, o gemmoderivato,
i cui principi attivi hanno la capacità di regolarizzare la secrezione gastroduodenale
e la motilità intestinale, riducono l'eccessiva secrezione acida e gli spasmi
della muscolatura liscia del colon, esercitando un'azione antinfiammatoria. Grazie
alle sue proprietà enzimatiche, il gemmoderivato di Ficus carica è altrettanto
utile in caso di atrofia della mucosa gastrica, nelle dispepsie,
e nella sindrome da ipotrofia
del tubo digerente.
La caratteristica prevalente delle gemme fresche del Ficus carica si esplica in
particolare nella sintomatologia delle manifestazioni psicosomatiche dei soggetti
ansiosi, che somatizzano l'ansia e lo stress a livello viscerale.
Il macerato glicerico è indicato quindi per la sua azione regolatrice centrale
nelle distonie
neurovegetative, come trattamento fitoterapico coadiuvante nella gastrite
e nell'ulcera, nella sindrome del colon irritabile, o colite spastica.
La sindrome del colon irritabile è una patologia che si presenta al di fuori di
qualunque lesione organica, parassitaria o infiammatoria, per cui va distinta
dalle coliti ulcerose o rettocoliti, che richiedono trattamenti specifici.
Questa sindrome è caratterizzata da dolori addominali, spesso con stipsi alternata
a diarrea, ad andamento cronico o ricorrente, con dolori di tipo spastico localizzati
all'addome, accompagnati talvolta da disturbi dispeptici quali nausea, senso di
pienezza e meteorismo.
Essa è ritenuta di origine psicosomatica ed è molto legata allo stato ansioso
del soggetto, che scarica le sue ansie sul colon, quella parte dell'intestino
particolarmente sensibile alla vita frenetica, allo stress, e a un'alimentazione
sbagliata.
Il Ficus carica gemmoderivato è la pianta di elezione per contrastare questo disturbo,
poiché agisce in modo mirato sull'apparato gastroenterico e sulla principale causa
del colon irritabile, cioè lo stress e l'ansia.
Il macerato glicerico di Ficus carica deve essere assunto a cicli di due mesi,
nei periodi che sono solitamente ritenuti più critici per questo disturbo, in
genere all'inizio della primavera e dell'autunno; in questo modo si ottengono
lunghi periodi di benessere, che si possono prolungare ripetendo sistematicamente
il trattamento secondo le necessità individuali, legate al carattere più o meno
ansioso e ai periodi di stress.
Per una maggiore salute del colon, è utile assumere ciclicamente anche fermenti
lattici probiotici
e prebiotici, a cui si può associare
o alternare il succo di Aloe vera,
per le sue proprietà lenitive e antinfiammatorie delle mucose gastrointestinali.
Dott.ssa Marina Multineddu
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